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La FISH del Veneto, federazione italiana per il superamento dell’handicap, ha aderito alla protesta organizzata dall’ANCI per il 31 maggio scorso, poi rinviata. In attesa di conoscere la nuova data della manifestazione la FISH ha chiesto un incontro urgente al Presidente Giorgio dal Negro e ha deciso di diffondere il testo della “lettera aperta all’ANCI e ai Sindaci del Veneto” preparata per la manifestazione.

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Ai sindaci che protestano per l’IMU e per essere costretti a svolgere il ruolo di gabellieri, che contestano il patto “stupido” di stabilità, che unitamente alle Regioni e Province autonome chiedono il ripristino dei fondi nazionali per le politiche sociali e per le non autosufficienze, portiamo la nostra solidarietà e rivolgiamo un appello: è giunto il momento di affrontare con serietà i problemi delle persone con disabilità e delle persone anziane non autosufficienti.

Per questo serve, in primo luogo, una solida alleanza: quella tra comuni, persone, famiglie, associazioni di tutela e cooperazione sociale che non deve sentirsi ricattata da convenzioni capestro e gare al massimo ribasso.

Serve la piena consapevolezza che le nostre comunità devono dotarsi di una rete di servizi di protezione sanitaria e sociale in grado di fornire servizi certi ed esigibili a tutti quei cittadini che per tante ragioni si ritrovano a convivere con una situazione di grave disabilità e di non autosufficienza.

La situazione è grave. Sulle persone e sulle famiglie ricadono le conseguenze di un agire disattento e di compatibilità finanziarie che tendono ad escludere dai bilanci anche le spese per i livelli essenziali di assistenza.

Serve quindi una piena assunzione di responsabilità, il rispetto delle regole, delle leggi e delle sentenze. Servono risposte alte e civili. Non improvvisazioni e tantomeno riduzioni della spesa sociale.

Il Consiglio regionale che pure aveva affrontato questi temi in un seduta straordinaria non è poi stato conseguente, non ha mantenuto gli impegni assunti ed ha approvato un bilancio di previsione che metterà ancor più in difficoltà le persone, le famiglie e gli stessi comuni.

Come esempio citiamo il mancato adeguamento del fondo indistinto per le politiche sociali dei comuni, il taglio ripetuto al contributo per i servizi di mensa e trasporto ai centri diurni, il non rispetto delle norme di legge sulla copertura degli oneri per i servizi residenziali e semi residenziali, il blocco dei finanziamenti all’assistenza per la vita indipendente e l’aiuto personale, la riduzione di tutti gli interventi cosiddetti di sollievo.

Le conseguenze di queste scelte ricadono pesantemente sulla vita di persone e famiglie già duramente provate, anche sul piano economico.

E’ necessario esercitare una comune e forte azione di pressione nei confronti della Giunta e del Consiglio regionale, per ottenere il rispetto delle leggi, per scongiurare nuovi tagli e per eliminare le liste d’attesa, per l’accesso ai servizi.

Le associazioni, la cooperazione sociale, le persone e le famiglie protestano con voi, ma chiedono anche un vostro deciso intervento sulla Regione affinché vengano finalmente affrontati i nodi finanziari che a tutt’oggi impediscono di garantire i livelli essenziali di assistenza e i servizi fondamentali.

Il sistema è sostenibile, ma l’azione finanziaria tesa al reperimento delle risorse necessarie dev’essere rapida o rischia di collassare. Ad essere insostenibile e insopportabile è infatti il costo degli sprechi, della disorganizzazione, delle clientele e degli uffici inutili, oltre al cosiddetto costo della “politica” e dei privilegi che nulla hanno a che vedere con il costo della democrazia.

La spesa per i servizi a sostegno della disabilità e della non autosufficienza deve cominciare ad essere considerata una lungimirante politica di investimento perché determina la solidità e la qualità dell’architettura civile del nostro paese e risponde alla pressante richiesta di inclusione sociale di un mondo ancora privo del diritto di cittadinanza.

Cosa si aspetta, ci chiediamo, a realizzare compiutamente quel “sistema della domiciliarità” che la Regione del Veneto ha ritenuto indispensabile? Quando verrà posto un freno intelligente alla deriva dell’istituzionalizzazione? Dov’è quel necessario sostegno alle famiglie invocato in Consiglio regionale poco prima di caricarle di nuovi oneri?

Il paese attraversa una grave crisi economica e finanziaria e la ricerca di nuove risorse per il sociale si presenta difficile. In questi momenti è ancor più necessario aggrapparsi allo spirito solidale, che nelle nostre comunità non è mai venuto meno, e stabilire che alle persone svantaggiate, o in condizione di disabilità, o di non autosufficienza va rivolta l’attenzione della comunità. Sono loro il metro di misura della nostra civiltà.

Non stiamo parlando di servizi che si possono o non si possono fare, ma di diritti costituzionali, di diritti umani, di obblighi a cui i comuni non non dovrebbero sottrarsi neanche quando la crisi morde i bilanci e le casse sono semivuote, neanche quando la Regione si sottrae ai propri compiti, neanche quando lo Stato azzera i fondi sociali nazionali.

I servizi che chiediamo quando parliamo di rete di protezione sanitaria e sociale sono servizi rivolti alla comunità! E’ la comunità che sceglie la propria “attrezzatura sociale”, è la comunità che si dota dei servizi necessari a garantire la serenità di quei cittadini che sono costretti a ricorrervi. La comunità sa che i servizi costano e che vanno finanziati ed è pronta a farlo, a viso aperto, senza ricorrere a sotterfugi e senza caricare di nuovi ed inutili balzelli le persone e le famiglie che volontariamente, e senza alcun compenso, svolgono un compito unico ed impagabile.

E’ questa la comunità di cui facciamo parte e nella quale ci riconosciamo.

Pensiamo, cari Sindaci, che sia giunto il momento di una svolta vera e di un approccio nuovo al problema. Invocare il concorso degli utenti o delle loro famiglie alla spesa per la gestione dei servizi è infatti doppiamente sbagliato; non si risolve il problema finanziario, si penalizzano le persone e le famiglie a basso reddito, si favorisce la richiesta di residenzialità. E oltretutto è profondamente ingiusto scaricare sulle persone con disabilità e sulle famiglie i costi dei servizi che la comunità stessa ha deciso di programmare e realizzare dopo una attenta valutazione dei bisogni del territorio.

La programmazione sociale, il centro diurno, la struttura residenziale non sono un fatto privato. La comunità costruisce i propri servizi e ne paga consapevolmente i costi.

Ecco perché bisogna voltare pagina. Bisogna uscire dal lamento rispetto al possibile aumento della quota pro-capite, bisogna costruire i bilanci con l’occhio rivolto alle politiche sociali e alla spesa corrente. Bisogna valorizzare le risorse disponibili, evitare spese discutibili (i debiti si devono poi pagare), tagliare dove si deve ed investire sul sociale, che tra l’altro ha un forte ritorno occupazionale.

Voltare pagina significa quindi abbandonare i tentativi in atto di reintrodurre forme di compartecipazione alla spesa per i servizi essenziali. Sono tentazioni ricorrenti che rispondono a logiche molto spesso approssimative, che generano una conflittualità esasperata con l’utenza e che tra l’altro sono affatto risolutive.

I ricorsi alla magistratura amministrativa evidenziano tale aspetto, ma anche il vuoto della politica sociale regionale.

Per tutte le ragioni esposte pensiamo sia utile un immediato e serrato confronto tra l’ANCI veneto e la Federazione scrivente. Restiamo in attesa. Grazie.

 

 

L’ufficio di Presidenza FISH veneto.

Antonino Russo

Lilia manganaro

Flavio Savoldi

 

Padova 5 luglio 2012